Giuseppe Perbollo, l'Ultimo Boia di Cagliari: Due Giorni Prima di Morire
Già in altre circostanze abbiamo elencato e parlato di persone perseguitate e giustiziate dalla Santa Inquisizione. Oggi però da alcuni racconti trovati, in particolare dal sito: comunediCagliari.news.it, vorrei indicarvi le ultime 48 ore prima di morire di Giuseppe Perbollo, l'ultimo Boia del capoluogo sardo.
Ore di inquietudine che probabilmente hanno vissuto anche altri boia prima di esalare l'ultimo respiro.
Ma torniamo al nostro protagonista: La notte prima di morire Giuseppe Perbollo, l'esecutore di morte della città di Cagliari, conobbe di persone la paura, quello sgomento che decine di volte ''i suoi clienti'', come li chiamava il boia, aveva visto negli occhi dei condannati a morte.
Moribondo sul quel letto dell'Ospedale cittadino, il boia allo scoccare delle 3 di notte incontrò ancora i suoi condannati a morte. Quelle persone destinate al patibolo, sito presso la croce giurisdizionale del quartiere di Sant'Avendrace.
Al boia fu subito lampante che quelle visioni non erano frutto della sua immaginazione, i condannati erano degli spiriti reali che con quelle mani ormai scheletriche scalfivano il suo corpo, lasciandogli dei tagli profondi.
Inerme dinanzi a quel terrore che stava vivendo in prima persona, rivide come dentro a un flash la sua esistenza fatta di una vita di becere risse, di furti ai danni degli stessi condannati, di quell'attività di tagliapietre che l'aveva condotto a Cagliari dalla provincia di Roma, dove nacque nel 1811.
Tra i tutti i defunti che erano venuti a fargli visita per portarlo nell'oltre tomba, vi era pure uno dei suoi compari di malefatte, un ceto Maccarroni, il cui il soprannome aveva sostituito definitivamente il suo vero cognome, salvato unicamente nel registro dei defunti delle prigioni di Cagliari.
Giuseppe Perbollo era solo al mondo: due giorni dopo la sua morte venne sotterrato nel cimitero ora monumentale di Bonaria, presso la fossa numero 4 alla linea 30. Il feretro fu accompagnato dalla figlia Cristina, che mossa da un senso di pietà partecipò all'esequie senza muovere alcuna lacrima. In base alle notizie raccolte, Cristina nacque nel 1868, all'epoca Perbollo era già un ultra 50 enne.
Gli occhi della ragazza erano praticamente impassibili, un'anima che aveva dovuto subire troppe umiliazioni: all'età di 12 anni, costretta forse dallo stesso padre a a frequentare l'Osteria di Bonifacio Pili, nel quartiere di Stampace, iniziò a mettere in vendita il suo corpo ai viaggiatori nostrani, mariani e assidui frequentatori.
In un silenzio irreale all'interno di quel tetro cimitero, Cristina ebbe un sobbalzo: mentre la cassa del padre veniva inghiottita nelle viscere della terra, s'accorse di una svanente presenza, un'immagine femminile dritta che la osservava a pochi metri di distanza.
Cristina non impiegò troppo tempo a riconoscere quell'apparizione: si trattava di Rosina Belmonte, che come ella risiedeva in una stamberga diretta da un certo Carlo Bertagnolio, di origine bolognese ma trapiantato nel capoluogo sardo per gestire le case di appuntamento.
Le due ragazze erano note alle guardie per alcuni reati a proprio carico, quale rissa tra clienti e prostitute, in via Corte d'Appello, diverbio che si era concluso con il ferimento di due giovani marinai. Cristina ebbe un umile infanzia, nata nel 1868 in una una casa fatiscente di via Giardini, fu costretta dalla madre a fare la serva presso una famiglia di Castello e poi a vendere il proprio corpo in una casa di tolleranza, dove conobbe Rosina, con la quale condivise le camere 42 e 44 di via Dritta a Stampace, gestite da Giuseppe Di Bernardo.
Nel 1883 le due ragazze denunciarono di fronte al giudice le percosse che il loro protettore spesso gli regalava. La vita di Cristina cambiò proprio il giorno del funerale del padre e grazie a quell'incontro dello spirito di Rosina che divenne il suo angelo protettore.
Una sera un cliente di Cristina ubriaco cercò di strozzarla per rubarle i pochi oggetti d'oro: l'uomo dovette fare i conti con il fantasma di Rosina. Il mal calpitato alla vista del fantasma lanciò un urlo disumano, scappando dalla via Santa Margherita in preda a spasmi e convulsioni.
Nel 1912 Rosina si spense in una casa a Tunisi. A raccogliere la sua testimonianza fu un infermiere di origine italiana, che ebbe modo di tramandare la sua vita impegnata negli ultimi anni ad aiutare quelle ragazze costrette a prostituirsi.
Fonte: comunecagliari.news.it
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