L'Influenza Spagnola in Sardegna

 


 Correva l'anno del Signore 1918, la Grande Guerra era al suo epilogo ma un'altra calamità iniziava ad abbattersi sul mondo intero, su l'Italia e la stessa Sardegna - la Peste Spagnola, comunemente chiamata l'Influenza Spagnola.

Inizialmente si pensò ad una banale influenza, invece, presto, si diffuse a macchia d'olio contagiando quasi un miliardo di persone, provocando più di 50 milioni di morti in tutti il globo. In Italia si contarono 600 mila vittime, come la Prima Guerra mondiale

Tra le Regioni più colpite come indice di popolazione e percentuale ci fu la Sardegna con 12 mila morti, in guerra i sardi falciati dalle bombe furono 13 mila.

 Nei resoconti dei medici, le autopsie evidenziavano che le persone morivano soffocati dai loro stessi fluidi, emanati dai “polmoni rossi e gonfi, congestionati di sangue emorragico e ricoperti di una patina rosa e acquosa .La medicina poteva ben poco: i medici davano ai pazienti la tintura d’oppio canforato (analgesico), per stimolare il sistema nervoso ed estratti dalla pianta Digitale per sostenere il cuore.

Molti anni più tardi si scoprì che il contagio avvenne da una variante del virus H1N1, contratta forse in Asia da persone venute in contatto con pollame vivo, e portata probabilmente in Europa dai Soldati Americani dopo l'aprile del 1917.

In Sardegna, il giornale L’Unione Sarda del 26 ottobre 1918, nella cronaca di Cagliari, scriveva “L’influenza epidemica nella Provincia''. Il medico provinciale dott. Frongia presentava al Consiglio la propria relazione sull’andamento dell’epidemia nella provincia e i provvedimenti adottati; egli dichiarava che: “l’infezione comparve a Cagliari quasi certamente per via mare.

  Negli ultimi 15 giorni: dal 5 ottobre, furono accertati 639 casi per influenza. A Cagliari nello stesso periodo di tempo morirono 30 persone, e di bronco-polmonite da attribuirsi ad influenza altre 41. I comuni più colpiti furono quelli di Lanusei, Tortolì, Arbus, Gonnesa, Tonara e Villamar”.

La sera o la mattina presto passava per le vie di paesi ormai spettrali una carretta che portava via i cadaveri accatastati uno sull’altro, sui quali si spargeva la creolina e venivano sepolti all’interno del cimitero in fosse comuni.

 Sul finire della Grande Guerra, il giovane prefetto Frutteri di Costigliole – rappresentante del governo per la provincia più estesa d’Italia che da Cagliari arrivava ad Oristano e Macomer e Bosa, fu lui a impartire rigide istruzioni perché anche dalla rete delle parrocchie venisse un contributo attivo al contenimento della epidemia di spagnola

 Una strage forse evitabile, come scrissero alcuni politici sardi dell'epoca, puntando il dito su una prevenzione inesistente, se non troppo tardi quando l'epidemia nell'autunno 1918 ormai iniziava a mietere sempre più vittime.

 Furono evitate le feste patronale e che le persone estranee alle famiglie potessero presiedere ai funerali e altre cerimonie. A 100 anni da un'altra epidemia come quella del Covid, le regole sembrano essere ancora le stesse. 

Assai più rigide erano le regole per gli stessi parroci: ai quali si chiedeva di evitare di sollevare polvere dalle panche, dagli altari e confessionali. Evitare di baciare le Sacre Reliquie dei santi” e la riduzione dei tempi delle liturgie le Sacre Reliquie dei santi” e la riduzione dei tempi delle liturgie.

Negli ultimi mesi del 1918, in Sardegna morirono circa diecimila persone, e ne morirono altre tremila nei due anni successivi. In Italia i casi mortali accertati furono 330 mila. Soltanto sul finire del 2020 e i primi mesi del 2021 l'incubo sembra essere al suo epilogo. Dopo la Grande Guerra i nostri avi dovettero combattere con un nemico forse ancor più terribile che quello delle trincee. Un nemico invisibile, che ciclicamente torna sempre con altri nomi a fare visita all'uomo.

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